Il centenario di Eugenio Corti

Eugenio CortiCade quest’anno il centesimo anniversario di nascita di Eugenio Corti (1921-2014), uno dei maggiori romanzieri italiani del ‘900. Per una curiosa coincidenza Corti, che fu per tutta la vita un cattolico senza compromessi, nacque il 21 gennaio 1921: lo stesso giorno in cui Gramsci e soci fondavano il Partito Comunista Italiano.

Nel 1941, da ufficiale, si unì volontariamente al Corpo di Spedizione Italiano in Russia per vedere con i suoi occhi il comunismo sovietico, presentato a quei tempi come una sorta di “paradiso in terra” realizzato senza il cristianesimo. L’impressione che ne ebbe fu sconvolgente. “Non c’era famiglia che non avesse avuto qualche membro giustiziato dal regime o deportato in Siberia. In Ucraina molti mi raccontarono della carestia e del cannibalismo che ne seguì. In pratica, toccai con mano quello che scriveva S. Agostino: o si costruisce la città di Dio o si edifica la città del Principe di questo mondo”.

“Per questo”, aggiunse, “nonostante io abbia visto cose terribili in guerra, la mia fede non si è persa ma si è rafforzata; anche perché era unita a una solida formazione culturale”. In seguito al crollo delle linee italiane sul Fronte Orientale, Eugenio Corti si trovò poi coinvolto nella tragica ritirata di Russia. Spesso ripeteva che la sua vocazione di scrittore era nata nella “Valle della Morte” di Arbuzovka: “Promisi alla Madonna che se fossi uscito vivo da quello scontro, avrei dedicato il resto della mia vita all’avvento del Regno della Verità, come dice il Padre Nostro”. Pochi anni dopo avrebbe raccontato quella tragica esperienza nel suo primo libro: “I più non ritornano”.

Rientrato in Italia, dopo l’8 settembre riuscì a sfuggire ai tedeschi, concluse il conflitto con gli Alleati, e inoltre fu decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Ebbi la fortuna di incontrare Eugenio Corti a una conferenza pubblica e poi di poterlo andare a trovare diverse volte nella sua casa di Besana Brianza. Qui parlavamo del suo amore per i classici (“Omero trasforma in bellezza tutto ciò di cui parla”), per il Medioevo, e per gli scrittori che lo ispiravano (in primis Tolstoj e Dostoevskij). E poi discutevamo della sua opera più grande: “Il Cavallo Rosso”, saga trentennale che si snoda dall’inizio della Seconda guerra mondiale fino agli anni Settanta, e narra le vicende di una famiglia attraverso i grandi cambiamenti della società italiana.

Un libro “vivo”, troppo acuto, troppo “cattolico” per essere accettato dalla cultura dominante. E così, Corti ha pagato la propria indipendenza con l’emarginazione dai “salotti buoni” italiani. Non così in Francia, dove, “Il Cavallo Rosso” è stato riconosciuto come libro di grande valore dal compianto Prof. François Livi della Sorbona, negli Stati Uniti e in altri Paesi esteri, dove è stato accolto con uguale entusiasmo. Tuttavia, il pubblico italiano ha premiato l’opera con un enorme successo: alla pubblicazione nel 1983 sono seguite più di 30 edizioni, grazie all’intraprendenza di una piccola casa editrice (Ares) e di molti entusiasti lettori che hanno diffuso l’opera con il semplice passaparola, che scrivevano lettere all’autore e lo andavano a trovare a casa (io ero fra questi).

Non molti anni fa, i suoi “fan” fecero una petizione perché venisse candidato a Premio Nobel per la Letteratura, ma la cosa non andò in porto. Forse per via dei suoi trascorsi da “outsider”, l’esito era prevedibile. Comunque, io posso dire di avere trovato in Eugenio Corti un grande maestro, come si incontra solo una volta nella vita. E naturalmente, ora che non c’è più, ne sento moltissimo la mancanza, ma tengo a mente le parole che mi disse nel corso del nostro ultimo incontro: “Non avere paura, ricordati che dall’altra parte abbiamo una potentissima Avvocata che prega per noi insieme alle persone che sono già salite in Cielo”.

(Gianmaria Spagnoletti, 15/01/21, La Voce del Popolo)